Il coinvolgente libro di Eva Munter
Storie periodiche: l’ho amato sin dalla prima pubblicità che ha catturato la mia attenzione. Un libro che prometteva di trattare un argomento così tosto come la chimica a colpi di aneddoti e storie che riguardano i 118 elementi della tavola periodica.
Alzi la mano chi come me ha avuto qualche difficoltà con questa materia negli anni scolastici! Sono sempre stato poco portato per la chimica, per cui immaginate l’ironia quando di recente ho cominciato a coltivare un certo interesse a riguardo. L’input è arrivato in realtà grazie al vino! Nell’ultimo anno infatti iniziato ad approfondire alcuni aspetti del vino fra cui quelli legati alla sua chimica, e ho scoperto un mondo affascinante.
Lontano ovviamente dal masticare ora la chimica con scioltezza e proprietà di linguaggio, ma oggi il ritrovato interesse nei confronti di questa materia è fonte di continua curiosità, soprattutto per quello che appunto riguarda la chimica del vino.
Perché mi è piaciuto
Le Storie periodiche di Eva Munter coinvolgono sin dai primi capitoli. L’autrice fra i vari aneddoti raccontati non manca di semplificare più possibile alcuni tecnicismi indubbiamente più familiari a chi conosce bene la chimica. Ma l’approccio è dinamico e anche per i “non addetti ai lavori” la lettura si fa scorrevole e piacevole.
Leggere Storie periodiche mi ha fatto scoprire elementi dai nomi assurdi tipo Afnio o Darmstadtio.
Mi ha intrigato nella lettura di tutti i vari complotti e discussioni nel corso dei secoli fra i vari chimici (che si sono contesi spesso la paternità della scoperta degli elementi). Ma che hanno soprattutto dato un contributo fondamentale con il loro lavoro al progresso e alla scienza.
Mi ha senza dubbio coinvolto e appassionato: conoscere come ciascuno degli elementi è stato scoperto e identificato sin dalle fasi più rudimentali è un vero viaggio nella storia della chimica.
Mi ha senza dubbio insegnato che anche alcune cose banali come il frigorifero di casa o il dentifricio hanno a che fare con la chimica, che diventa nel suo insieme qualcosa di molto più presente nelle nostre vite di quello che pensiamo.
Fra gli aneddoti che mi hanno più intrigato i seguenti.
Le banane radioattive.
Il business dell’Acqua Tofana a base di Arsenico.
L’asta finita male per Hardy Rodenstock, che dopo che aveva cercato di falsificare delle bottiglie di vino, fu sbugiardato grazie alle proprietà del Cesio-137.
Il discutibile infuso della giovinezza a base di oro consumato ogni giorno dalla donna più bella di Francia, Diane di Poitiers (i cui seni sembrano aver ispirato anche la famosa coppa da Champagne).
Gli strati di cerone applicato ogni giorno dalla regina Elisabetta I, un antenato del fondotinta che causava perdita di capelli e dannoso per la pelle.
La storia di Marie Curie, una delle scienziate più celebri.
Il furto del cervello di Einstein e la folle mania del patologo Thomas Harvey.
Questo e molto altro è Storie periodiche, un libro che ho amato e che vi consiglio di leggere!
L’autrice è presente anche sui canali social come @chimica_in_pillole, dove continua il suo lavoro di divulgazione con contenuti molto interessanti e attuali.
Il vino
Il vino che mi ispirava abbinare alle Storie periodiche di Eva Munter è il Rock’M’Roll, uno Chenin blanc di Château de la Mulonnière originario della Valle della Loira. Zona tipica per questo vitigno nonostante questa referenza sia classificata come generico IGP. L’etichetta sbarazzina (e bellissima!) mi richiamava anzitutto in qualche modo la copertina libro. Ma ho scelto questo abbinamento perché questo Chenin blanc è un’eccellente proposta per avvicinarsi a questa varietà e in generale alla zona. Così come ho trovato molto valido il libro Storie periodiche per avvicinarsi alla chimica con un approccio più easy ma appassionante.
Il vino offre freschezza e beva slanciata, grado alcolico contenuto, 12.5%. Eppure il sorso è intenso, di buona persistenza. I sentori richiamano le note agrumate, la mela e l’acacia, un tocco di mineralità. Un entry level che guadagna diversi punti anche nel rapporto qualità prezzo: 15 euro è la media di spesa sul mercato. Insomma un bel bianco per approcciarsi con scioltezza a una delle zone più vocate del territorio francese. Dallo Chenin blanc però si possono ottenere vini dotati di maggiore complessità e struttura, e potenzialmente longevi. Merita senz’altro di essere approfondito!
Vino e chimica
E visto che abbiamo parlato di chimica, ne approfitto per sollevare qualche riflessione. Uno degli aspetti della degustazione del vino più interessanti è senza dubbio l’analisi olfattiva, spesso oggetto di vere e proprie elucubrazioni. Perché i vini profumano? Cosa c’entra la mela ad esempio se il vino è ottenuto da tutt’altro frutto? Come può un vino sapere da cuoio se il cuoio normalmente ce lo aspetteremmo su una borsetta o un paio di scarpe?
La risposta coinvolge proprio la chimica del vino, che sia dal punto di vista strutturale (acidità, tannini…) che dal punto di vista sensoriale (i profumi), determina le varie caratteristiche di ciascun vino. Ora l’argomento è senza dubbio molto complesso e articolato, tanto che chi muove i primi passi nel mondo del vino ne viene introdotto solo in maniera marginale. Viene infatti solitamente accennato ai terpeni come responsabili delle componenti olfattive. In realtà ci sono molti più elementi, fra cui sempre principali i norisoprenoidi e le pirazine. Da questi nomi strani estrapoliamo dei corrispondenti caratteri olfattivi che ci suonano molto meglio, come ad esempio le note floreali o le spezie.
Se consideriamo lo Chenin blanc appena raccontato ad esempio, potremmo riconoscere nel suo profilo agrumato del limonene, del citronellale o del citrale. Nel tuo profumo di mela del malonato di etile, e ancora nella sua frutta tropicale del butirrato di etile. Si parla ovviamente in termini generali, solo un’analisi precisa del campione (compiuta per altro da qualcuno più competente di me) potrebbe essere più esaustiva.
In effetti è molto più “poetico” parlare del bouquet aromatico di un vino elogiandolo per quella bella sfumatura di frutta tropicale o di agrumi, piuttosto che parlare di “butirrato di etile” o “citronellale“!
Non solo degustazione “a memoria”
Mi rendo conto che sia un tema che può non coinvolgere tutti con lo stesso entusiasmo. A me tuttavia affascina sempre di più conoscere più da vicino questi aspetti! Con questo articolo vorrei quindi anche sensibilizzare un po’ di più sulla questione. Non perché appunto da adesso in poi dobbiamo diventare tutti esperti in materia, ma per tornare a comprendere che il vino è anche un insieme di elementi strutturali.
Spesso l’approccio attuale alla degustazione sembra tenere conto solo dell’aspetto olfattivo come se fosse l’unica cosa interessante da raccontare. La tecnica che va per la maggiore sembra spronare semplicemente la stimolazione mnemonica dei vari sentori che si possono trovare (esperienza per altro influenzata da un minimo di soggettività). Invece tornare un po’ di più anche sulla struttura, l’acidità, i tannini, può raccontare molto del vino che stiamo degustando.
Anche quando un vino è deviato l’esperienza è interessante. Non perché sia buono da bere, ma perché sia valido da analizzare. Anche in questo caso la chimica del vino ci aiuta a capire che sentori deviati potrebbero dipendere da nuove, indesiderate, combinazioni di molecole. Certo scegliamo di non consumare quel vino deviato, ma al tempo stesso approfondiamo anche queste eventualità con un occhio più curioso e critico.
Voi cosa ne pensate? Vi interessa l’approfondimento di questo argomento?
Nel frattempo non perdetevi Storie periodiche e Rock’M’Roll!
Alla prossima!