Gli assaggi internazionali 

Seconda parte dedicata alla 33esima edizione di Merano Wine Festival e agli assaggi che più mi hanno colpito. Se nel precedente articolo vi ho parlato di vini e aziende italiane, oggi il focus sarà concentrato su vini e aziende internazionali. Notevole infatti è stata anche partecipazione di aziende straniere, presenti con 110 aziende.

Il mio piccolo tour extra penisola ha toccato quindi le vicine Francia e Svizzera, per poi andare anche in Austria e GermaniaCalifornia, Cile, Argentina, Sud Africa. Per esplorare anche una delle tematiche di questa edizione, ho voluto approfondire anche qualche produzione di vini in anfora e in particolare provenienti dalla Georgia.

Le aziende e i vini degustati

Château Giscours

Con Château Giscours siamo nella Bordeaux di Margaux e precisamente l’azienda è una delle 14 Third Grows previste dalla classificazione ufficiale di Bordeaux del 1855. Quando si parla di taglio bordolese è qualcosa che è molto nelle mie corde, e amo le sfumature che possono raccontare simili vini. Sono ancora molto agli inizi del mio approfondimento sui vini francesi, ma al Merano Wine Festival è stato possibile degustare dei vini davvero di notevole qualità.

Di Château Giscours ho quindi assaggiato il loro Le Sirène de Giscours, vino ottenuto da 70% Cabernet sauvignon, 10% Caberne franc, 10% Merlot e 10% Petit verdot. 13 mesi di barrique di cui un 30% da legno nuovo. Presenta un naso fine ed intenso, note erbacee raffinate, palato asciutto dai richiami ugualmente erbacei. Vino giovane, in divenire, di buon potenziale evolutivo.

Il loro Margaux 2016 Grand Cru Classé – 80% Cabernet sauvignon, 20% Merlot – con un affinamento di 18 mesi di barrique di cui almeno il 50% nuove, presenta un naso più marcato, energico, ma sempre molto fine. Note di minerale e grafite si alternano squisitamente a toni intensi di frutta rossa.

Sirene Château Giscours  Château Giscours Margaux

Château Adaugusta

Nel prestigioso cru classè di Saint Emilion si distingue Château Adaugustanato dalla volontà di due piccoli produttori artigiani. 1 ettaro e 6mila bottiglie prodotte, età media delle viti 40 anni. Premesse semplici ma che dicono già molto.

Il loro Saint-Emilion Cypres d’Adaugusta è un blend ottenuto da 75% Merlot e 15% Cabernet franc, affinato per 12 mesi in acciaio. Questa è una delle prime note sorprendenti: la personalità di un vino già complesso e austero che pur non affinando in legno sa esprimersi con profondità e maturità.

Note più speziate e terziarie spettano invece al Grand Cru, che prevede il medesimo blend ma un affinamento di 14 mesi in botte. Raffinato e intenso, nobile, presenta un tannino maturo, bilanciato, buona struttura e persistenza.

  

Svizzera 

Interessante anche l’approfondimento sulla Svizzera, che personalmente non avevo mai degustato in alcuna occasione. Non è facile trovare in effetti dei vini svizzeri, in quanto pare che la maggior parte siano destinati al consumo locale e che solo una piccola percentuale venga esportata.

La Petite arvine però è un vitigno che ho già incontrato, ve lo avevo raccontato parlandovi di Valle d’Aosta. La sua origine tuttavia sembra essere svizzera per cui quello assaggiato al Merano Wine Festival si può considerare un vero vino autoctono. Precisamente è il Petite arvine di azienda Maison Rouge. Siamo nell’area del Vallese, la più vitata in Svizzera con quasi 5mila ettari. Una zona ricca caratterizzata da differenti microclimi, varietà di vitigni autoctoni. Questo antico vitigno sappiamo dare vini di ottima tensione e struttura, ma anche longevità. Quello di Maison Rouge è un vino che rispecchia i caratteri tipici della Petite arvine, e offre sentori molto fini, quasi delicati, di mango, mandorla e note iodate. Più esplosivo al palato, che emerge con buona intensità e freschezza.

Vini insoliti di Grillette

Dalla zona denominata dei Tre Laghi, presso Neuchâtel, provengono i due prossimi vini che vi presento. Con l’azienda Grillette, ai piedi dello Jura meridionale, ci troviamo in una zona ricca di terroirs differenti, e suoli ricchi di calcare, sabbie, ciottoli, che gode altresì di ottime escursioni termiche. L’azienda sposa la filosofia biodinamica, con interventi mirati a mantenere un ideale equilibrio naturale.

Due vini decisamente insoliti ed inediti per me sono stati anzitutto il loro Pinot noir vinificato in bianco. Difficile fare anche solo lontanamente dei confronti con le tradizionali versioni in rosso, per cui considero di prenderlo proprio come una varietà quasi a sé stante. Un’altra occasione simile mi era capitata con il Droppello di Tenuta Fertuna, che vinifica il Sangiovese in bianco, un vino che si fa raccontare. Esattamente come per quella occasione penso che più che cercare analogie forse il senso di questa proposta e degustazione serva a scoprire potenziali ancora inesplorati di alcune varietà.

Il Pinot noir vinificato quindi in bianco di azienda Grillette, nel calice ha rivelato note di ananas disidratato, mallo di noce e “foglie secche”, sentori che ritornano abbastanza coerenti anche al palato. Asciutto e di buona intensità e persistenza.

Con il loro Galotta invece scopro un vitigno proprio mai sentito. Nasce dall’incrocio di Gamay e Ancellotta, e offre nel calice un colore molto vivace e vinoso. Succoso anche al naso, richiama freschi frutti rossi e lievi note erbacee e speziate. Un vino un po’ rustico ma al tempo stesso sbarazzino.

Résonance Grillette blanc de noirs Pinot noir Galotta vin Grillette

Il Pinot noir riserva di Cottinelli

A chiudere gli assaggi dei vini svizzeri c’è il Pinot noir riserva di Cottarelli, azienda originaria dalla vocata zona “Canton dei Grigioni“. Si tratta di una sorta di “Borgogna svizzera“, e nonostante qui l’azienda coltivi almeno 40 tipologie di vitigni, è proprio il Pinot noir la varietà più importante della zona.

La riserva Molinära, dal nome del vigneto, è ottenuta da uve di Pinot noir macerate a freddo per circa 8/10 giorni, in seguito fatte leggermente scaldare per avviare la fermentazione. Matura almeno 10 mesi in barrique in parte nuove e in parte di 2/3 passaggio, e seguono ulteriori due mesi di riposo in barili da 500 litri.

I Riesling di Domaine Wachau e Wintersheim

Due Riesling a confronto, uno austriaco e uno tedesco. Con Domäne Wachau siamo in Austria. 150 ettari organizzati in piccole parcelle e lavorati principalmente a mano, una solida realtà cooperativa austriaca. Location straordinaria, la Valle Wachau, Patrimonio UNESCO, con terrazzamenti esposti verso il fiume Danubio e un clima favorevole alla viticoltura.

Assaggio al Merano Wine Festival il loro Riesling Smaragd Achleiten 2021. Smaragd è un termine che riguarda la classificazione tipica della zona della Wachau e ne rappresenta la tipologia più ricercata. Ottenuto da vendemmia tardiva, è un vino pieno ed ampio dai ricchi sentori di idrocarburi e frutta matura esotica e pesca. Ricco in acidità ma con note finali piacevolmente vellutate e avvolgenti.

Con Lisa Bunn siamo invece in Germania, nel cuore della Mosella, in una fortunata posizione che combina microclima favorevole e ideale terroir. La porosa argilla rossa soprattutto, favorisce la ricca e slanciata acidità dei vini.

Al Merano Wine Festival ho assaggiato il suo Riesling Wintersheim 2021, un vino dalle belle note verticali,  dotato di leggerezza e freschezza, note agrumate e di idrocarburo e un finale piacevolmente sapido.

Vini americani

California

Due vini californiani mi hanno positivamente colpito. Sono il Sonoma Coast Chardonnay di La Crema e il Cabernet sauvignon di Elizabeth Spencer. Solitamente lo stile californiano non è il mio, ma come dico sempre a volte il bello sta nel trovare quel “non sarebbe il mio ma mi piace”. Perché conta molto anche come viene lavorato e valorizzato un prodotto!

La realtà di La Crema anzitutto, è molto interessante. L’azienda si distingue per la qualità dei suoi prodotti, e dal sapiente intervento dell’enologo Craig McAllister. Il suo “tocco segreto” è la perfetta combinazione dello stile contemporaneo californiano e l’influenza di quello della Borgogna. Molto sensibili anche in tema sostenibilità, che curano attraverso una viticoltura che valorizza la biodiversità e le pratiche meno invasive, evitando più possibile sprechi di acqua ed energia. Uno sguardo più approfondito a tal proposito è ben descritto nel loro sito.

Il loro Chardonnay Sonoma Coast, proveniente dalla omonima zona, una delle migliori per la produzione di Chardonnay e Pinot noir extra Francia. Ha un naso intenso, raffinato, con quel frutto esotico e la nota un po’ tipica da “vaniglione”, che tuttavia non stanca, anzi. Un vino molto piacevole, anche di buona complessità, che al palato risulta molto avvolgente e morbido.

Elizabeth Spencer è invece una realtà collocata che opera fra l’area di Sonoma e il Mendoncino, anch’essa zona che produce vini di buona qualità, a ridosso del mare. Proprio da quest’ultima zona proviene il Cabernet sauvignon che assaggio durante la manifestazione. Un vino dotato di ampia freschezza ed intensità. Spiccano sentori di marmellata, fragola, susina e cenni di vaniglia. Un sapore delicato, non troppo intenso ma asciutto e dal finale un po’ erbaceo.

Sonoma Coast Chardonnay La Crema   Cabernet sauvignon Mendoncino Elizabeth Spencer

Cile

Come azienda cilena vi segnalo Tarapacà. Fondata nel 1874, è collocata a Maipo Valley, zona di produzione di rilievo in Cile, conosciuta come la “Bordeaux del Sudamerica” poiché ospita favorevolmente le varietà bordolesi, soprattutto Cabernet sauvignon e Carménère. Il loro Sauvignon Gran Riserva ha note intense, una spinta vegetale marcata, peperone verde, tutto molto fine. Al palato ugualmente intenso, sapido e in linea coi richiami olfattivi. Dopo la fermentazione alcolica questo vino è affinato sulle fecce fini in sospensione in serbatoi di acciaio, mentre non è previsto alcun passaggio in legno.

Il loro Cabernet sauvignon Reserva Etiqueta Negra, è invece un vino che sprigiona note di frutta rossa e nera matura, marmellata, nonché un sottofondo di bosco e note erbacee. Asciutto e abbastanza vigoroso al palato, mantiene tuttavia anche delle rotondità in chiusura.

Vina Tarapacà Sauvignon blanc  

Argentina

Per l’Argentina suggerisco invece il Malbec Heritage 2020 di La Celia. Questa azienda si colloca nella Valle de l’Uco, una delle più importanti, ai piedi della Cordigliera delle Ande, dove il microclima è unico e ideale per la produzione di alta qualità. Le uve provengono dal singolo vigneto e sono vendemmiate a mano, viene svolta la fermentazione malolattica. Questo Malbec è un vino austero ma elegante, aromatico, riccamente fruttato e arricchito di note balsamiche. Valido perché nonostante la “pienezza” preserva anche un certo slancio e freschezza.

Sud Africa

Molto interessanti anche alcuni assaggi di vini sudafricani, soprattutto bianchi. A cominciare dallo Chenin blanc di Mooiplaas, azienda collocata a Stellenbosh. Un’altra azienda degna di nota soprattutto per quanto riguarda il tema della tutela della sostenibilità ambientale (che ricordiamo essere caro anche al fondatore del Merano Wine Festival Helmuth Köcher). Di proprietà circa 100 ettari vitati più altri 70 circa di Riserva Naturale privata.

Il loro Chenin blanc che assaggio alla manifestazione si esprime con note molto intense al naso e al palato. Sentori di frutta esotica, litchee e mango, ma anche mela, sapore di buon corpo, sapidità e ottima persistenza. Un vino di carattere e buona qualità.

Di Cape Point Vineyards, proveniente dalla omonima Cape Point, assaggio due vini a base di Sauvignon. Il primo in purezza, si presenta molto fine al naso con sfumature lievemente vegetali. Nel palato è avvolgente, quasi burroso ma dotato anche di buona acidità. E’ previsto per questo vino un lungo affinamento sui lieviti più ulteriore tempo in legno di 2-3 passaggio minimo. Il loro Isliedh 2022 è invece 80% Sauvignon e 20% Sémillon. Molta eleganza e finezza contraddistinguono questo ottimo vino, che rivela note vegetali, di cenere e cenni minerali. Asciutto e vellutato, di buona persistenza, dotato di una rinfrescante acidità finale. Ancora una volta cerco di immaginare l’unicità e la peculiarità di un territorio diverso dal nostro ma ugualmente ricco. A Cape Town c’è una perfetta sinergia di diversi elementi naturali: l’influenza delle brezze oceaniche, l’importante esposizione solare, l’altitudine, il terroir ricco di minerali. Chissà se un giorno avrò mai occasione di vedere anche soprattutto dei luoghi naturali così intensi!

 

Georgia

Chiudo con il capitolo sui vini georgiani che sono stati sicuramente fra gli assaggi più inediti e particolari per me. Non avevo davvero mai approcciato alcun vino georgiano, e ammetto che non è stato immediato per me comprendere alcune sfumature organolettiche. Si è trattato però indubbiamente di un ulteriore viaggio stimolante e arricchente, che mi ricorda che non si finisce davvero mai di imparare ad esplorare nel calice!

Il vino in Georgia ha una storia millenaria e nonostante la consolidata tradizione, è una realtà ha saputo mantenersi sempre al passo anche con le moderne tecnologie. Il suo contributo è soprattutto collegato alla produzione di vini che sono sottoposti a lunghe macerazioni e agli affinamenti nelle tradizionali qvevri di terracotta. Questi ampi recipienti impiegati per la fermentazione e la macerazione vengono solitamente messi sotto terra e così facendo la temperatura è mantenuta costante e sotto controllo.

Ecco i miei assaggi da segnalare.

GiuAAni

Anzitutto la realtà di GiuAAni, collocata nell’antica zona di Manavi, una delle più importanti con ben 29 PDO. Diversi gli stili di vino prodotti grazie all’impiego delle tradizionali qvevri, ma anche dell’acciaio e delle barrique di rovere.

Il loro Manavi bianco è ottenuto da uve Kakhuri Mtsvane, varietà ovviamente inedita per me. Scopro che in Georgia sono segnalate almeno 500 varietà indigene! Solo acciaio previsto per questo vino che esprime intense note di frutta esotica e vaniglia ma anche un lieve richiamo di idrocarburi. Ampio e morbido anche al palato, dove persiste con freschezza e intensità. Troppo morbido per il mio gusto, ma oggettivamente un vino fatto bene!

Il Manavi bianco special nasce con le stesse premesse, ma per lui è previsto anche un periodo di circa 3 mesi sui lees dopo la vinificazione in acciaio. Si arricchisce così di maggiore complessità e struttura, ma al tempo stesso mantiene una bella freschezza e slancio.

Manavi GiuAAni Manavi special GiuAAni

Tsinandali Estate

Tsinandali Estate oggi conta una produzione di circa 150000 bottiglie annue da 3 ettari vitati condotti a biodinamica, con focus soprattutto su varietà locali. Ma la sua storia comincia ad affermarsi nel 19esimo secolo, con la figura del Principe Alexander Chavchavadze, aristocratico della società georgiana dell’epoca ma anche importante produttore di vino, nonché poeta, uomo d’affari, militare. Il suo contributo nel settore vino fu quello di introdurre in Georgia le moderne tecnologie europee, rendendosi precursore di un nuovo stile di produzione. Il suo Chavchavadze Estate fu concepito come polo culturale e da sempre frequentato da altri personaggi illustri. La sua eredità oggi è mantenuta da Tsinandali che oltre ai vigneti possiede un museo e parco, ma continua ad ospitare anche eventi e festival, mostre ed altre iniziative culturali.

Qui la qualità del microclima è favorita dalla presenza di calcare nel suolo, e il vigneto, circondato da due burroni e da una foresta di querce, gode così di un terroir unico.

Il loro Natella bianco è un blend di varietà locali (totalmente inedite per me): Mtsvane, Kisi, Khikhvi, Tsolikouri e Tetra. Viene prodotto in edizione limitata e affinato in acciaio. Ha un carattere prevalentemente aromatico, intenso, sia al naso che al palato, dove alterna piacevolmente acidità e sapidità.

Il loro Kakhetian Blend ha la stessa selezione di vitigni ma prevede un affinamento in anfora per 6 mesi. Lo stile è sempre quello di un vino dotato di grande aromaticità, dalla speziatura esotica e dalle intense note di pesca, albicocca, frutta secca. Strutturato, asciutto e dotato anche di discrete sensazioni tanniche.

Natella Tsindali Estate  Kakhetian Qvevri Tsindali Estate

Kapistoni

La realtà di Kapistoni si colloca perfettamente fra quelle aziende che hanno ereditato la solida tradizione georgiana e le sue tecniche di produzione. In particolare sono legati all’impiego delle tipiche qvevri, che adottano per l’affinamento dei vini ottenuti da varietà locali coltivate con spirito sensibile nei confronti dell’ecosistema.

Segnalo il loro vino bianco Chinebuli, ottenuto dalla omonima varietà. E’ un bianco di carattere, nonostante la gradazione alcolica di 12.5%. Si esprime con intensità, austerità e complessità. Spezie, carruba, frutta secca, note agrumate, pepe bianco e peperone, un susseguirsi di note olfattive che seguono anche al palato, che risulta secco e dotato di buon tannino. La componente agrumata svolge quindi un ruolo rinfrescante, indispensabile per “stemperare” un vino così ricco.

Periani

A chiudere questo viaggio il Rose Rkatsiteli di Periani. Questo è stato senza dubbio uno degli assaggi più insoliti, poiché esula definitivamente dalla concezione spesso purtroppo diffusa che un rosato debba essere un vino banale e privo di spessore. Per certi versi Periani è una delle realtà più moderne della Georgia attuale, improntata sullo sviluppo tecnologico, ma fedele è anche per questa azienda il legame con la tradizione.

Il loro Rose è sottoposto a una lunga macerazione per circa 6/7 mesi nelle qvevri, che dona un colore intenso e molto carico. La componente alcolica si attesta sui 12,5%, ma nuovamente siamo di fronte a un vino che a discapito di questo presenta un insieme di sfumature gusto olfattive più decise. In particolare note di amarena e petalo di rosa, melagrana. Al palato asciutto e deciso, con una discreta percezione tannica.

Non so dire sinceramente se “mi sia piaciuto”, ma didatticamente è stato molto interessante.

Rosè Rkatsite

Scrivere questo articolo mi rendo conto che mi ha richiesto più tempo del precedente, sia per la quantità di assaggi in più da annotare, sia per l’approfondimento che ho voluto dedicare a ciascuno. Sono in un momento storico in cui mi sto interessando favorevolmente ai vini internazionali, ma sono ancora all’inizio del percorso, precisamente quel momento in cui magari hai già imparato anche molte cose interessanti negli anni, ma vuoi e devi dare spazio a nuovi contenuti. Quello del vino in generale tra l’altro è uno studio che davvero non ha mai fine! Alcuni concetti che a volte sembrano essere sicuri e consolidati altre volte ti rimettono tutto in discussione. Ma questo al tempo stesso rende continuamente stimolante la ricerca e la passione.

Quindi se questo articolo per certi versi è un insieme di piccole recensioni, per altri invece è il risultato di uno studio concreto rivolto a conoscere più da vicino i vini di cui vi ho parlato anche al di là della degustazione svolta all’evento.

Per chi ha perso la prima parte dedicata invece agli assaggi italiani, la trovate a questo link.

E il vostro Merano Wine Festival come è stato?

 

Alla prossima!